domenica 23 gennaio 2022

23/01/22 III DOMENICA DOPO EPIFANIA (ANNO C)

Le letture di oggi ci parlano del Paradiso, e ora provo a spiegarvi perché. Prima però dobbiamo intenderci con le parole. La parola “paradiso” è di origine persiana (pardez): il paradiso era il meraviglioso giardino del re, un luogo recitato, splendido, dove crescevano erbe, fiori, frutti, animali in 

gran quantità, e solo il re poteva godere di tutto questo. Ora, questo termine, nel corso della storia è stato utilizzato da altre tradizioni religiose per indicare la beatitudine, la bellezza della comunione totale con Dio che si può raggiungere dopo la morte. E infatti è un termine che usiamo anche noi cristiani. Però è un termine rischioso, perché porta immediatamente a pensare che il Paradiso sia un luogo, un posto molto concreto in cui, per chi ci crede, si andrà a vivere, ed essendo un posto ci si comincia a chiedere: dove sarà e come sarà questo giardino bellissimo. Lo stesso Dante Alighieri, parlando del Paradiso, del Purgatorio e dell’Inferno, li ha immaginati come luoghi fisici, e anche nella nostra mentalità, che ci è stata trasmessa fin da bambini, si immagina l’Inferno sotto terra e il Paradiso in cielo. Finchè queste restano immagini comunque limitate per cercare con parole umane di esprimere la nostra condizione dopo la morte, va bene; se l’immagine del Paradiso come giardino delle delizie per indicare la bellezza della comunione totale con Dio che ci è riservata dopo la morte, va bene; ma se restiamo schiavi di queste immagini e andiamo avanti a credere e ad insegnare ai bambini che il Paradiso è in cielo e i defunti sono degli angioletti che volano insieme a Gesù, è molto rischioso, trasformiamo la fede in una favola in cui nemmeno noi adulti ci crediamo, anche perché, tra parentesi, se i defunti volassero in cielo o vivessero in un giardino di delizie, allora mi domando perché, quando preghiamo, chiediamo al Signore di concedere loro l’eterno riposo, forse per non farli stancare troppo. È per questo che, nel Credo, noi non diciamo di aspettare di andare in paradiso, ma di aspettare la risurrezione dei morti, che non è la stessa cosa e, forse, proprio perché non è chiaro cosa vuol dire risorgere, che è il cuore della nostra fede, allora si ricorre a queste immagini. Comunque, proprio per aiutare a far chiarezza su questi argomenti, proverò a parlarne nelle catechesi per gli adulti il prossimo mese di febbraio. Torniamo adesso, piuttosto, a quello che dicevo all’inizio, e cioè che proprio le letture di oggi ci fanno capire cos’è il paradiso nel senso letterale del termine e dove si trova. Il Paradiso, come indicava il termine persiano, si, è proprio un luogo fisico, è proprio un giardino meraviglioso, ed è quella terra in mezzo al deserto, piena di viti, di grappoli d’uva, di melagrane, di fichi, dove scorrono latte e miele di cui parlava il brano del libro dei Numeri, identificandolo con la terra promessa verso cui il popolo d’Israele si stava incamminando. Ovviamente anche queste sono immagini simboliche che vanno decifrate, ed è proprio il brano di vangelo a farcele interpretare correttamente. Gesù trasforma un luogo deserto in un giardino bellissimo. Non è un miracolo: non lo fa moltiplicando pani e pesci per una folla numerosa. Leggete bene: Gesù non moltiplicò nulla, non fece nessun gioco di prestigio, ma si fece portare tutto quel poco che avevano a disposizione i suoi discepoli (sette pani e pochi pesciolini), rese grazie, cioè non lo tenne per sé, divise tutto e lo diede di nuovo ai discepoli perché fossero loro a distribuirlo alla folla, e così tutto si moltiplicò, tutti ebbero di che mangiare e il deserto divenne un giardino. Questo ci dice che il paradiso dobbiamo costruirlo noi qui in terra, anzitutto custodendo il creato, non distruggendolo, come ha richiamato Papa Francesco nell’enciclica Laudato sii. Ma è molto di più. E’ quando noi uomini impariamo a prenderci cura gli uni dei bisogni degli altri condividendo quel poco o tanto che abbiamo, così che nessuno sia più bisognoso. Quando scopriamo che la gioia non è in quello che si ha, ma in quello che si dona. Dividendo, condividendo, tutto si moltiplica, questo è il miracolo, e siamo noi a doverlo compiere, con la forza che viene da Dio, con la forza dell’eucaristia: siamo noi che, nutrendoci dell’amore del Signore, dobbiamo diventare pane che si spezza per gli altri. Il Paradiso in senso stretto è davvero solo terrestre, è il giardino dell’Eden di cui parla anche il libro della Genesi, ma non si riferisce a qualcosa del passato che è andato perduto, ma al progetto di Dio che noi, con la forza dell’amore di Dio, dobbiamo costruire qui sulla terra. Lo dice bene san Paolo: “Ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia. Del resto, Dio ha potere di far abbondare in voi ogni grazia perché, avendo sempre il necessario in tutto, possiate compiere generosamente tutte le opere di bene”. Il Paradiso, dunque, è proprio un luogo bellissimo, ed è qui, su questa terra, quando impariamo ad essere generosi e a prenderci cura gli uni degli altri con la stessa forza di Dio. Guardandoci in giro, sembra invece di vivere all’inferno. Anche l’inferno è qui. Certo, ma è colpa nostra, che demandiamo a Dio quello che dovremmo fare noi e andiamo avanti a restare inerti di fronte al male, dentro e fuori di noi.