domenica 9 ottobre 2022

9/10/22 VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO (ANNO C)

Le letture di oggi sono legate da un tema molto importante e attuale, quello dell’ospitalità. Il brano del libro dei Re racconta l’episodio in cui il profeta Elia fu ospitato in casa di una vedova che non apparteneva al popolo ebraico. Il brano della lettera agli Ebrei è stato scelto perché all’inizio si dice: 

“Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”, e il riferimento è al celebre episodio raccontato dal libro della Genesi quando Abramo accolse generosamente tre viandanti del deserto, e poi scoprì che aveva accolto Dio. Nel vangelo, infine, anche Gesù parla di ospitalità in termini di accoglienza, e tra poco guardiamo da vicino queste parole, ma prima proviamo ad allargare il discorso e capire qual è il valore dell’ospitalità di cui parlano tantissimi altri testi della Bibbia, perché questi sono soltanto alcuni fra i tanti. Per gli ebrei, l’ospitalità era qualcosa di sacro. Quando gli ebrei, al tempo di Abramo, erano pastori nomadi che vivevano nelle tende nel deserto facendo degli accampamenti, ospitare chi arrivava era questione di vita o di morte. L’ospite poteva rimanere fino a un massimo di tre giorni gratuitamente, e in tutto questo tempo aveva la piena protezione di tutta la tribù. Al massimo tre giorni perché dopo, come dice il detto, l’ospite puzza, perché vuol dire che se ne sta approfittando. Era comunque un dono prezioso l’ospitalità perché permetteva a persone diverse e sconosciute di incontrarsi, di confrontarsi, di aprirsi alla novità. Ma questo accadeva ai tempi di Abramo. Quando, da nomadi, gli ebrei divennero un popolo sedentario e gli accampamenti divennero città con le loro mura, l’ospitalità cominciò ad essere offerta solo a chi apparteneva alla propria razza, alla propria religione, alla propria cultura. Così era al tempo di Gesù, e sembra il ritratto della nostra società occidentale di oggi. Gli stranieri non erano certo graditi ospiti. Ma Gesù non sarà mai d’accordo con questa cosa perché Dio non fa distinzioni tra le persone: per Dio tutti gli uomini sono suoi figli e chi accoglie un uomo nel bisogno accoglie Dio: ero straniero e mi avete ospitato. Sono parole decisive: per Gesù la salvezza non si ottiene attraverso riti o pratiche religiose, ma con l’esercizio concreto della carità verso gli altri, e l’ospitalità è una delle diverse forme di carità. Ricordate le parole di Gesù del vangelo di domenica scorsa? “Amate i vostri nemici”, cioè: non considerate nessuno come nemico, non considerate nessuno così distante, così estraneo, così “ostile” da esser vostro nemico. In latino, nemico si dice “hostis” e ospite si dice “hostes”. Due parole assonanti che però hanno un significato opposto. La civiltà ha fatto un passo decisivo, forse il passo decisivo per eccellenza, il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis), è divenuto ospite (hospes). E così veniamo alle parole di Gesù del Vangelo di oggi che avevamo lasciato in sospeso, che sono la parte finale del discorso missionario che occupa tutto il capitolo decimo di Matteo, parole che non sono scelte a caso dalla liturgia in questo mese di ottobre dedicato alla missione. Gesù si rivolge ai discepoli che aveva mandato in missione e dice: chi accoglie voi accoglie me, chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. La missione dei discepoli è la stessa missione che Gesù ha ricevuto dal Padre, quella di annunciare il Regno di Dio, e il Regno di Dio è quando io sento di essere figlio amato dal Padre come ogni altro uomo, e quindi imparo a considerare l’altro come mio fratello, capace di ospitarlo nella mia vita: solo vivendo la fraternità si santifica il nome di Dio, cioè si mostra nei fatti che Dio è Padre. Poi aggiunge che chi dà da bere anche solo un bicchiere d’acqua a uno di questi piccoli perché è un discepolo, non perderà la ricompensa. La traduzione di questa frase è stata resa con un italiano un po’ contorto. Meglio sarebbe tradurre: se tu dici di essere un mio discepolo, e quindi darai da bere anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi microbi, cioè quelle persone che nella società sono considerate gli ultimi, non perderai la ricompensa. Cioè, se noi ci dichiariamo cristiani, cioè discepoli di Gesù, o viviamo questa dimensione dell’accoglienza, o non siamo suoi discepoli e non siamo salvi, anche se preghiamo o veniamo a Messa tutti i giorni pensando di essere in comunione con Dio. E qual è la ricompensa? Non è certo in applausi o in vantaggi economici, ma che si diventa come Dio (appunto si entra in comunione con lui) e si contribuisce a costruire un mondo e una società diversi, davvero umani. Non c’è altra strada. Se l’umanità, nonostante le guerre e le nefandezze che accadono, continua ad andare avanti, è perché il bene è più forte del male, è perché, anche se non si vedono, sono di più gli uomini e le donne che vivono secondo la logica di Dio rispetto a chi fa il contrario. E noi, che siamo qui, da che parte stiamo o decidiamo di stare?