domenica 17 dicembre 2023

17/12/23 VI DOMENICA DI AVVENTO (ANNO B)

La sesta e ultima domenica di Avvento, nel rito ambrosiano, si chiama dell’Incarnazione o della Divina maternità di Maria. E, ad essere precisa, è già Natale, perché un bambino nasce quando viene concepito e, anche in Maria, Gesù nasce quando viene concepito nel grembo di Maria, quando Maria dice di sì. 

Vedete, questa pagina di vangelo è una delle più belle, difficili e importanti, e proverò a spiegarla quasi parola per parola nell’ultimo lunedì della Parola di quest’anno che faremo lunedì 19 a Belledo. Perchè occorre capire che ogni volta che ascoltiamo una pagina della Scrittura, non si sta parlando di qualcosa di fantastico, di strano, di assurdo capitato nel passato, ma di qualcosa che continua ad accadere. Qui accade che una ragazzina partorisce Dio, diventa Madre di Dio. E Gesù poi dirà: chi ascolta la mia parola e la mette in pratica, come ha fatto Maria, diventa per me fratello, sorella e madre. Fratello e sorella vuol dire che diventa come me, figlio di Dio come me, cioè assomigliante a Dio. E madre. Cioè, anche noi possiamo partorire Dio. Cosa vuol dire partorire Dio? vuol dire diventare un altro cristo, diventare creature nuove, divine, che hanno un modo di pensare e di vivere come Gesù, e quindi che hanno dentro di sé la stessa vita di Dio, una vita di una qualità tale che nemmeno la morte del corpo potrà distruggere. Nascere nuove creature vuol dire risorgere, vuol dire trasformarsi: è un cammino che dura tutta la vita, naturalmente se vogliamo compierlo. Ebbene, questa pagina di vangelo perché è così bella e importante? Perché ci spiega come si fa per diventare come Dio: dobbiamo fare come Maria: ascoltare, capire, fidarci e fare quello che ci dice il Signore. Allora Dio viene: ecco l’Avvento. Detto questo, ora vorrei molto semplicemente soffermarmi con voi proprio su quello che il Signore dice a Maria e a ciascuno di noi: le prime parole che Dio pronuncia, parole stupende con le quali il Signore dice chi è lui e chi siamo noi, e sono le parole più famose di tutto il vangelo, parole che tutti conoscono a memoria, parole che molti pronunciano anche più di 50 volte al giorno quando pregano il Rosario, parole che, purtroppo, rischiano di essere solo suoni pronunciati dalle labbra e che, così, non riescono a produrre l’effetto desiderato, le parole iniziali dell’Ave Maria. Dopo la modifica della traduzione del Padre nostro, mi piacerebbe che prima o poi venisse modificata anche l’Ave Maria. La prima parte dell’Ave Maria è costituita dalle parole che abbiamo appena letto nel vangelo e che l’angelo rivolge a Maria, mentre le seguenti sono quelle che le vengono rivolte da Elisabetta. Tutte da rifare, secondo me. Elisabetta le dirà: benedetta tu fra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo. Noi invece diciamo il frutto del tuo seno, che è un’espressione molto poetica che però molti non capiscono, soprattutto poi se qualcuno, ancora, dice non “il frutto del tuo seno”, ma del seno… pausa… tuo Gesù. Io da piccolo non capivo cosa volesse dire frutto del seno (virgola) tuo Gesù. Già dire le preghiere è un modo di dire da abbandonare, perché un conto è dire le preghiere, un conto è pregare, sono due cose diverse. Se poi si cerca di pregare dicendo preghiere incomprensibili, la frittata è fatta. Le parole che invece dice il Signore a Maria sono quelle iniziali: Ave, Maria, piena di grazia, il Signore è con te. Anche qui, la prima parolina, Ave, non solo non è corretta, ma anche questa, come seno, è di difficile comprensione. Ave è un saluto antiquato, si salutavano così gli antichi romani, chi si saluta oggi dicendo Ave? Ave vorrebbe dire “ti saluto”, ciao, buon giorno, buona sera. Ma l’angelo non sta salutando Maria augurandole buona giornata, semmai la saluta, si, ma non dicendole “ciao”, ma “rallegrati”. E’ il primo comando di Dio. Cosa ci comanda Dio? E uno pensa ai comandamenti, fai questo, non fare quello. Sbagliato. Il primo comando di Dio è: rallegrati. Non lo dice solo a Maria, ma lo ripete a ciascuno di noi. Pensate l’effetto che farebbe se, per esempio, quando si dice il Rosario in occasione di un funerale, ognuno di noi mettesse il suo nome al posto di Maria e si sentisse ripetere dal Signore: rallegrati. Se uno capisse che la volontà di Dio, quel che Dio vuole, non è niente di gravoso, ma è che noi abbiamo a rallegrarci, ad essere sempre lieti, come dice san Paolo nel testo di oggi. Ma come si fa ad essere sempre lieti, diciamo noi, giustamente, in mezzo ai mille affanni, problemi, ansie, preoccupazioni e tragedie della vita? Come si fa a stare sempre lieti? Perché tu sei piena di grazia e perché il Signore è con te. In queste due frasi c’è dentro il nostro nome e il nome di Dio, ci viene detto chi siamo noi e chi è Dio. Noi siamo graziati, siamo riempiti dell’amore del Signore. Dovremmo dire: rallegrati, Maria, perché Dio è innamorato di te, perché a Dio tu piaci così tanto da essere pronto a morire per te dandoti la sua vita immortale. Ecco il nostro nome, ecco chi siamo noi. E poi, dicevo, il nome di Dio. Dobbiamo rallegrarci perché il Signore è con te. Il nome di Dio è un complemento di compagnia. Gesù risorto dirà: Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo. E’ chiaro che se un giorno si cambiassero le traduzioni dell’Ave Maria occorrerebbe cambiare anche tutte le canzoni alla Madonna, ma la cosa che volevo evidenziare è che se, almeno, ci rendessimo conto della portata di questa frase che ripetiamo sempre quando preghiamo la Madonna, capiremmo che la preghiera non serve per convincere il Signore per mezzo di Maria a fare qualcosa per noi, ma per permettere al Signore di operare in noi come accadde a Maria.