domenica 31 dicembre 2023

1/01/24 ULTIMO/PRIMO GIORNO DEL NUOVO ANNO NELLA FESTA DELLA CIRCONCISIONE

Nella liturgia, il primo giorno dell’anno civile coincide con l’ultimo giorno dell’ottava di Natale. Natale, come Pasqua, dura otto giorni perché il numero otto è il simbolo dell’eternità. Vuol dire che la nascita di Gesù e poi la sua morte risurrezione non sono solo eventi del passato, al contrario: Gesù è vivo per 

sempre, è il Dio con noi che accompagna i nostri passi, che vuole prendere carne in noi per farci diventare come lui, quindi è il Dio che col suo Spirito è dentro di noi, che quando celebriamo l’eucarestia si rende presente perché vuole fondersi con noi, diventare una cosa sola con noi. Il fatto che la liturgia ambrosiana celebri in questo giorno la festa della circoncisione di Gesù che accadde otto giorni dopo la sua nascita, come era tradizione presso gli ebrei, esprime ancora meglio questa cosa. Se Gesù non fosse stato ebreo, sarebbe stato sottoposto a un altro rito. La circoncisione era il segno indelebile sul corpo del bambino dell’appartenenza alla discendenza di Abramo, e quindi dell’appartenenza a Dio, una tradizione che anche oggi hanno gli ebrei e i musulmani. I suoi genitori volevano rendere figlio di Abramo colui che era già stato proclamato figlio di Dio: fatto su Gesù era un rito inutile. Infatti, Gesù insegnerà che la vera circoncisione, il vero segno che testimonia la nostra appartenenza a Dio è quando impariamo ad amarci come lui ci ama: è l’amore che ci rende simili a Dio. Ma questo rito, compiuto su Gesù, dimostra come Dio si incarna nella vita, nelle tradizioni, nelle usanze di ogni persona, di ogni popolo, di ogni tempo, dando però un nuovo significato a tutte le cose, alcune delle quali possono poi essere tranquillamente abbandonate e superate, tanto è vero che noi non veniamo circoncisi. Perciò, prendere coscienza, soprattutto alla fine e all’inizio di un nuovo anno, del dono trasformante di Dio è qualcosa di meraviglioso: sapere che ogni giorno dell’anno è pieno della sua presenza di Dio capace di far nuove tutte le cose ci permette di vivere ogni giorno dell’anno sotto la sua benedizione. Quella benedizione che è stata portata nelle famiglie della nostra parrocchia durante l’avvento e che voglio continuare a portare a tutte le rimanenti in questo mese di gennaio. Cosa significa benedire? Cosa significano le parole del libro dei Numeri che si leggono sempre in chiesa all’inizio di un nuovo anno civile, parole che dicono “Ti benedica il Signore e ti custodisca, faccia risplendere per te il suo volto, ti faccia grazia, e ti conceda pace”? Le parole che vengono sempre ripetute al termine di ogni eucaristia quando veniamo benedetti dal nostro Dio, la santissima Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito santo? Molti hanno ridotto il termine “benedizione” a qualcosa che di evangelico non ha più nulla: un rito scaramantico e magico per ottenere da Dio salute, soldi, felicità, prosperità. Tanto è vero che sono pochissime le persone che, per esempio, non mi hanno aperto la porta di casa quando sono passato per benedire. Anche chi si dichiara poco credente o non viene in chiesa mi dice: venga pure, una benedizione non può farmi male. Ma la benedizione del Signore non è un portafortuna. Se fosse così, come potremmo mai, noi cristiani, al termine dell’anno, cantare il Te Deum di ringraziamento al Signore per l’anno trascorso considerando tutte le cose che, purtroppo, sono invece andate male, molto male? Se fosse davvero Dio a determinare il corso degli eventi e a decidere le cose, sarebbero molte di più le persone che, al termine di un anno, avrebbero motivi non per ringraziarlo, ma per bestemmiarlo. Pensiamo solo a chi vive anche oggi sotto le bombe. E invece, come ripetiamo in ogni eucaristia (che vuol dire rendimento di grazie) è veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza rendere grazie, sempre, qui e in ogni luogo al Signore. Ma non gli rendiamo grazie per le cose che sono andate bene, perché non è lui ad avercele magicamente fatte andar bene, altrimenti dovremmo arrabbiarci con lui per quelle che sono andate male, ma gli rendiamo grazie perché la sua presenza benedicente e trasformante non ci abbandona mai. Gli rendiamo grazie perché Gesù ci rivela che Dio non guarda i nostri meriti, ma i nostri bisogni, ed effonde il suo amore su tutti, anche e proprio su quelli che pensano di non meritarselo ed esserne esclusi, come accadde ai pastori. I pastori erano considerati lontani da Dio, perché erano selvatici come le bestie che accudivano, e si diceva che il Messia, alla sua venuta, li avrebbe eliminati perché peccatori, e invece vengono avvolti dal suo amore. Una cosa talmente rivoluzionaria che tutti quelli che udivano ciò che dicevano i pastori si stupivano. Purtroppo, è triste vedere come questa immensa novità, anche molti cristiani, oggi, faticano a capirla. Una riprova è l’astio di molti, anche vescovi e preti, verso le parole e le indicazioni di Papa Francesco, come le ultime a proposito delle benedizioni alle coppie giudicate irregolari secondo la dottrina cattolica. Mentre il Papa non fa altro che tradurre la novità portata da Cristo, spiegando bene come la benedizione del Signore consiste nel ricevere la luce e la forza di Dio per poter compiere la sua volontà, per poter compiere il maggior bene possibile in qualunque situazione uno si trovi, perché, anche da una situazione problematica possa fiorire, in chi la accoglie, qualcosa di bello, di nuovo, di sorprendente. E questa grazia, nessuno, tantomeno noi discepoli di Gesù, deve ostacolarla. E se non la ostacoliamo, qualunque cosa possa accadere o accaderci, allora stiamo certi che sarà per tutti un buon anno.

PRIMA DELLA BENEDIZIONE FINALE

Eccoci dunque al momento in cui il Signore, senza chiedere a nessuno di noi qui presenti né la carta di identità né la fedina penale, ci inonda con la sua benedizione, che vale molto di più di tutti gli auguri di buon anno che possiamo farci. Per un cristiano, augurare buon Natale, buona Pasqua, buongiorno, buonanotte, buon appetito, buon anno, è molto più che augurare semplicemente che tutto vada bene, anche perché, per quanto sinceri possano essere i nostri auguri e forti le nostre speranze, poi le cose andranno avanti lo stesso con difficoltà e problemi di ogni tipo, e l’anno prossimo saremo punto e a capo. Per un cristiano, invece, gli auguri in generale, e gli auguri di buon anno, hanno il valore della benedizione, di invocare su ogni persona a cui diciamo “auguri” la benedizione di Dio che, invece, è capace di rendere nuove tutte le cose, anche le peggiori. Ma siccome il Signore si è fatto uomo e agisce attraverso di noi, vuol dire che più che fare gli auguri benedicendo, dovremmo imparare a farci noi auguri, benedizione per gli altri, non limitandoci cioè a sperare che l’anno che iniziamo sia migliore di quello passato, ma impegnandoci noi a portare qualcosa per rendere quest’anno un po’ più bello e più umano, perché per Gesù la felicità non consiste in quel che si riceve, ma in quel che si è capaci di donare.