domenica 28 dicembre 2014

SANTI INNOCENTI

Cerchiamo di capire bene il messaggio di questo brano di vangelo che parla della fuga in Egitto della santa famiglia e della strage degli innocenti. Letto superficialmente verrebbe da dire che Dio salva suo Figlio e permette che al suo posto muoiano tanti innocenti. Che poi è quello che succede nella storia da sempre, anche oggi: quanti innocenti soffrono e muoiono a causa dei tanti Erodi della storia,
e Dio dov’è? E qui sembra che fugga. Allora cerchiamo di capire bene. La fuga in Egitto della santa famiglia, e poi il suo ritorno, che però non abbiamo letto e che si leggerà nella messa di lunedì, vengono raccontati da Matteo per far vedere che Gesù rivive la storia del suo popolo. Ricordate?
Giuseppe, figlio di Giacobbe, era stato venduto dai suoi fratelli agli egiziani, poi era diventato principe d’Egitto, quando i suoi fratelli vanno a domandare agli egiziani di essere accolti insieme a tutti gli israeliti per la carestia e per non morire di fame e si ritrovano davanti il fratello, Giuseppe li perdona e li accoglie; in seguito gli ebrei vennero fatti schiavi dal Faraone che ordina la morte di tutti i primogeniti degli ebrei, tra i quali si salva miracolosamente un bambino, Mosè, che poi sarà il liberatore che porterà i suoi fratelli fuori dall’Egitto verso la terra promessa, e questa è la Pasqua
ebraica. Ecco, per Matteo Erode è il nuovo Faraone e Gesù è il nuovo Giuseppe che entra in Egitto, che col suo perdono salva i suoi fratelli ed è il nuovo Mosè che con la sua morte e risurrezione salva il suo popolo, che è tutta l’umanità. E questa è la Pasqua cristiana. Quindi Matteo non sta dicendo che in mezzo ai guai Dio ci abbandona e fugge, ma esattamente il contrario: Dio entra in una storia fatta di male, di guai, tragedie e problemi, condividendo il nostro dolore, non abbandonandoci, e questo l’ha fatto sempre, come dimostra la storia di Mosè e come Gesù rivelerà con la sua vita: Gesù sa che Dio è suo Padre, che noi siamo figli amati e condivide il dolore dei suoi fratelli che, innocenti come lui, soffrono per colpa del male provocato dal male di altri fratelli, fin da piccolo è perseguitato e, innocente, verrà ucciso sulla croce rispondendo al male col perdono, e così ci salva, da cosa? Dal peccato, che ci porterebbe a rispondere al male facendo altro male, che è quello che continuiamo a fare: la salvezza invece è quando in mezzo al male provocato dagli altri miei fratelli, io sento come Gesù che tutti siamo figli amati da un Dio che è Padre e quindi rispondo al male dei miei fratelli non raddoppiandolo, ma fermandolo con la forza dell’amore, del perdono, e questo mi immette nella comunione con Dio che è amore: morto al peccato sono risorto già adesso perché sono un uomo nuovo. Poi Matteo collega tutto questo con la strage degli innocenti. Gesù, fin da piccolo, è solidale con coloro che soffrono ingiustamente e poi, sulla croce, con tutti gli innocenti che vengono uccisi. Il punto è: ma chi di noi è innocente? Un bambino certamente. Noi, fino a quando nutriamo dell’odio verso qualcuno e poi compiamo il male, non saremo mai innocenti, e quindi non siamo salvi. Gli innocenti sono quelli che muoiono al posto di qualcuno, innocente o colpevole a sua volta, ma muoiono per colpa dei colpevoli. Se anche i colpevoli dovessero morire a loro volta puniti dagli innocenti, anche gli innocenti diventano colpevoli, ed è quello che accade, e infatti nessuno è innocente a questo mondo, e il male non ha mai fine, fino a quando un innocente prende su di sé questo male e lo ferma col perdono, rendendo tutti innocenti, permettendo così di cominciare qualcosa di nuovo, e Gesù ha fatto questo. Ma qui Matteo usa un espediente. Prima cita il profeta Osea: dall’Egitto chiamai mio figlio, dove però il profeta si riferiva ad un altro Egitto, e cioè a Babilonia, quando gli israeliti furono deportati in esilio per colpa loro, del loro peccato, della loro cattiveria, perché avevano abbandonato il Signore. E cita poi il profeta Geremia che diceva che Rachele, la moglie di Giacobbe, sepolta in Rama, presso Bethlem, vede sfilare davanti a sé i suoi discendenti deportati a Babilonia e piange i suoi figli, appunto perché per colpa del loro peccato sono
esiliati. Tutto questo rappresenta il pianto di Dio nei confronti di tutti noi suoi figli esiliati, che ci allontaniamo da Dio perché non ci rendiamo conto del suo amore e quindi viviamo male la vita e la
facciamo vivere male agli altri, ci autodistruggiamo: piange i suoi figli perché non sono più, lontani da Dio non siamo più nulla. Ma Dio non piange soltanto. Mi vuole fare uscire da questo Egitto, che in questo caso è Babilonia, perché l’Egitto rappresenta il male che io subisco, e Babilonia il male che io faccio, che è ancora peggio, perché per Dio il male non è essere uccisi, ma quando io uccido, non quando qualcuno mi fa del male, ma quando io faccio del male, e quindi ci siamo sempre dentro tutti, chi fa il male e chi lo subisce. E come mi fa uscire da questo Egitto? Prendendo su di sé tutto questo male sulla croce. La volontà di Dio è la sua ostinazione ad amarci: più facciamo il male, più ci ama e ci perdona perché è l’unica arma che ha a disposizione per rispettare la nostra libertà sperando che arriviamo a capire che lontani da lui, che è amore, non siamo più nulla, siamo perduti, e lui non vuole perderci, vuole che viviamo bene la vita facendo il bene, e così facendo entriamo nella vita divina già adesso, figuriamoci dopo la morte quando entreremo tra le sue braccia, perché entrando nel sepolcro incontriamo Gesù che c’è stato e che ci porta fuori. Come accade in ogni eucaristia, se impariamo a rendercene conto.