Questo salmo è uno dei più noti e famosi del salter
io, lo conosciamo bene anche noi cattolici che siam
o così
bravi e devoti a Dio senza conoscerlo perché non co
nosciamo la Bibbia. Addirittura lo sappiamo a memor
ia
perché anche lo cantiamo spesso nelle nostre assemb
lee. Quando non si sa che canto fare si canta Il
Signore è il mio pastore. Certamente è anche uno de
i salmi più belli. Qualcuno
ha scritto: le centinai a di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e ta nto conforto quanto questi versi del salmo 23. Spes so veniva usato durante i pellegrinaggi a Gerusalemme. Infatti si parla
ha scritto: le centinai a di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e ta nto conforto quanto questi versi del salmo 23. Spes so veniva usato durante i pellegrinaggi a Gerusalemme. Infatti si parla
di un cammino, di un viaggio, su
pascoli
erbosi, ma anche per valli oscure, un viaggio che termina
nella casa del Signore, che era il tempio di
Gerusalemme. E già questa cosa molto materiale rich
iama qualcosa di altrettanto spirituale. E cioè che
la
nostra vita è un viaggio, anzi, un pellegrinaggio,
ed è molto importante questa cosa. Perché il contra
rio del
pellegrinaggio è il vagabondaggio, il contrario del
pellegrino è il vagabondo. Il pellegrino sa da dov
e parte e
dove sta andando, e quindi tutte le sue energie le
spende per raggiungere la meta. Il vagabondo no, no
n ha
una meta, cammina, si siede, dorme, guarda le vetri
ne, gira a destra o a sinistra, ovunque vada è
indifferente, magari arriva al mare con gli scarpon
i di montagna e in montagna col salvagente. Ecco, n
oi
possiamo vivere la vita da pellegrini o da vagabond
i. Dipende da noi. Spesso purtroppo la viviamo da
vagabondi, nonostante la fede che abbiamo ricevuto
nel Battesimo e che ci dice esattamente il contrari
o:
noi sappiamo da dove veniamo, chi ci ha generati, d
ove stiamo andando, e anche quali sono i mezzi
necessari per raggiungere la meta. Veniamo da un Di
o che è Padre, sappiamo di essere suoi figli amati
come Gesù il Figlio, e il Figlio ci ha mostrato con
la sua risurrezione che la meta della nostra vita,
la terra
promessa, la casa del Signore che abiteremo per lun
ghissimi anni, per l’eternità, è il Paradiso. Ciò v
uol dire
che anche il nostro sguardo sulla morte non deve es
sere come quello dei vagabondi che non sanno qual è
la
loro meta, e nemmeno come quelli che, vagabondi o m
eno, pensano che la meta della vita sia
semplicemente quella di finire sotto terra o in un
urna. E il Figlio ci ha dato gli strumenti necessar
i per
conseguire questa meta: la sua Parola, lo Spirito s
anto, i sacramenti, l’appartenenza alla Chiesa. La
sua
Parola che insegna la via da seguire, e la vita da
seguire è la stessa che ha percorso lui, la via del
l’amore; lo
Spirito santo e i sacramenti sono la forza che ci d
a per vivere questa Parola, per metterla in pratica
; la
Chiesa è la compagnia dei fratelli coi quali condiv
idiamo questo cammino dietro all’unico pastore. E c
osì
torniamo al salmo e alla prima parte nella quale si
parla proprio del pastore e si dice che è il Signo
re il mio
pastore. Pastore è una delle immagini privilegiate
della Bibbia per parlare di Dio. Perché per i popol
i di quel
tempo, il pastore è la guida del gregge che sa punt
are verso l’oasi o il pascolo erboso dove il gregge
può
dissetarsi e nutrirsi, e sa scartare le piste peric
olose, ed è quello che fa Dio con il suo popolo. Ma
il pastore
è anche il compagno di viaggio per il quale le ore
del suo gregge sono le sue stesse ore, stessi i ris
chi, stessa
la sete, stessa la fame, mentre il sole batte impla
cabile su lui e su tutto il gregge. Quindi è attent
o
soprattutto alle pecore più deboli. Senza pastore l
e pecore muoiono. Così fa Dio con noi. Certamente p
er
noi sentirci paragonati ad una pecora non è bello.
Ma in realtà questa immagine della pecora vuol dire
un’altra cosa, e cioè che noi siamo sempre condotti
da un desiderio, è il desiderio che abbiamo che ci
fa da
pastore, che ci guida. Perché l'uomo, come dicevo,
se è un pellegrino, è uno che cammina ed ha un
obbiettivo, a differenza dell'animale o che ha l'is
tinto, fa quello che deve fare e basta. La guida de
ll’uomo è
il suo desiderio. Ora, se hai come desiderio il pas
tore della vita, quello ti conduce alla vita, se ha
i come
pastore la morte, è il salmo 48, uno che fa consist
ere i suoi desideri nell'avere le cose e nel posses
so, allora
vai verso la morte. L'importante è scoprire cos'è c
he ci guida nella vita, se è il Signore della vita
o il signore
della morte. Chi ha il Signore come suo pastore rip
one in lui la sua sicurezza: il tuo bastone e il tu
o vincastro
sono il mio sostegno. Leggevo di un pastore sardo c
he spiegava che il bastone serve per far fuori i lu
pi, per
difendersi, quindi è robusto, il vincastro invece è
una verga sottile e leggera che da dietro tocca
leggermente le pecore. Vuol dire che il Signore, da
buon pastore, ci guida con la forza contro il male
per
difenderci, e con la delicatezza per trovare i pasc
oli e l'acqua, perché la pecora da sola non sa né d
ov'è il
pascolo, né dov'è l'acqua. E così cosa succede? Che
in mezzo alle croci e alle difficoltà che la vita
presenta,
dimentichiamo la grande verità contenuta nel medesi
mo versetto, dove si dice che appunto perché il
Signore ci sostiene col suo bastone e il suo vincas
tro io posso anche passare per la valle più oscura
senza
temere alcun male. Parole che appunto dovrebbero da
vvero sostenere i momenti più difficili dell’esiste
nza.
Gesù sulla croce ci mostra come Dio non ci libera d
ai problemi e dalla morte, ma in mezzo ai problemi
e alla
morte è con noi, non ci lascia soli, cioè ci consol
a, perché consolare vuol dire non far sentire solo
uno che si
sente solo, perché è il Dio con noi, è colui che ne
i momenti più bui non smette di condividerli e pati
rli con
noi continuando a guidarci con la forza del suo Spi
rito, attraverso i sacramenti e illuminandoci con l
a sua
parola. Noi purtroppo ci pascoliamo molto di televi
sione invece che della parola di Dio e infatti si v
edono i
risultati. Più che pecore noi rischiamo spesso di d
iventare caproni. È interessante questa distinzione
.
Pensate quando nel capitolo 25 di Matteo Gesù, parl
ando del giudizio universale, dice che il Signore
separerà le pecore dai capri. Perché i buoni sono c
hiamati pecore e i cattivi capri? Guidata dall’isti
nto, la
capra sa trovare cibo. La pecora invece no: si mett
e al seguito suo o di un pastore. Noi uomini non si
amo
solo istinto, ma siamo desiderio di felicità, e la
felicità è l’amore corrisposto. Chi non si sa amato
e si sente
nessuno, è posseduto dall’istinto di mangiare tutto
e tutti perché si sente vuoto. Ecco, Gesù nel vang
elo di
Giovanni, al capitolo 10, dice di essere lui il buo
n pastore, anzi il bel pastore che vuole portare le
sue pecore
fuori dal recinto. Cosa vuol dire questa immagine?
Nel recinto le pecore sono munte, tosate o vendute
per
il essere macellate. Gesù invece vuol condurre gli
uomini fuori da tutte le recinzioni, per portarli a
lla libertà
dei figli di Dio. E Dio è bellezza di amore a servi
zio di ogni uomo che è suo figlio, fatto a sua imma
gine e
somiglianza. Ognuno, lo sappia o no, per Dio vale p
iù di lui: dà la sua vita per lui! Gesù è «pastore
bello»
perché Agnello che espone, dispone e depone la sua
vita per tutti. Proprio così è Signore della vita e
vince la
morte. Per questo Gesù è il profumo del Padre, ha l
o stesso odore del Padre, ma essendo pastore che st
a
con le pecore odora anche delle pecore. Chi non odo
ra di pecora, non è pastore: è ladro e brigante che
ruba e uccide. Ricordate quando papa Francesco ha r
ichiamato noi sacerdoti su questa cosa, e cioè sul
fatto
che anche noi, come Gesù, dobbiamo odorare di pecor
a, perché allora vuol dire che siamo davvero pastor
i
che danno la vita per il loro gregge. Pregate il Si
gnore perché davvero impariamo a diventarlo. Infine
, vorrei
dire un’ultima cosa riferita agli ultimi versetti d
el salmo, nei quali si parla di Dio buon pastore ch
e ci ospita
nella sua casa, nei suoi atri e mettendosi a servir
mi, e questo servizio è descritto nel modo in cui a
llora si
usava trattare gli ospiti quando entravano in casa:
profuma il mio capo (ungi di olio il mio capo), of
fre la
coppa spumeggiante dell’amicizia (il mio calice tra
bocca), imbandisce davanti a me una mensa
assicurandomi la protezione dai nemici. Tutte immag
ine usate dal salmista riferendosi a quello che
accadeva quando si entrava nel tempio del Signore p
er offrire i sacrifici, perché come dicevamo questo
salmo veniva cantato durante il pellegrinaggio a Ge
rusalemme. La cosa straordinaria, qui, qual è? e Ge
sù la
rivelerà pienamente. Che in realtà non siamo noi ch
e sacrifichiamo qualcosa a Dio, ma è lui che si sac
rifica
per noi, fino a donare se stesso. Se io ospito Dio
scopro che è lui per primo che ospita me. E questo
diventa
molto importante per imparare a vivere la nostra fe
de in modo autentico e non farisaico. A vivere cioè
i
sacramenti, l’ascolto della Parola o qualsiasi altr
a cosiddetta pratica religiosa non come un dovere o
qualcosa che dobbiamo fare noi per Dio, così lui è
contento e ci premia, quasi che Dio, lo dicevamo gi
à due
volte fa, fosse cattivo e dunque da ingraziarselo c
on delle pratiche, ma è esattamente il contrario. S
ono
doni che lui fa a noi, perché è nostro interesse ch
e sia lui il nostro pastore, e l’interesse di Dio,
la sua
volontà, è che noi abbiamo a comprendere questo per
ché la nostra vita sia appunto ricolma di gioia,
altrimenti viviamo la vita di fede con angoscia, e
non con amore, con lo spirito di Gesù, lo spirito d
el Figlio
che continuamente ringrazia il Padre, ma con lo spi
rito di chi vuole scappare da casa. Infatti il salm
o si
conclude con le parole che esprimono il desiderio d
i abitare per lunghissimi giorni, cioè per l’eterni
tà, nella
casa del Signore. Certo, io voglio abitare la casa
del Signore, voglio essere ospite in casa sua e sen
tirmi