venerdì 13 marzo 2015

SALMO 23 - IL SIGNORE E’ IL MIO PASTORE

Questo salmo è uno dei più noti e famosi del salter io, lo conosciamo bene anche noi cattolici che siam o così bravi e devoti a Dio senza conoscerlo perché non co nosciamo la Bibbia. Addirittura lo sappiamo a memor ia perché anche lo cantiamo spesso nelle nostre assemb lee. Quando non si sa che canto fare si canta Il Signore è il mio pastore. Certamente è anche uno de i salmi più belli. Qualcuno
ha scritto: le centinai a di libri che ho letto non mi hanno procurato tanta luce e ta nto conforto quanto questi versi del salmo 23. Spes so veniva usato durante i pellegrinaggi a Gerusalemme. Infatti si parla
 di un cammino, di un viaggio, su pascoli erbosi, ma anche per valli oscure, un viaggio che termina
nella casa del Signore, che era il tempio di Gerusalemme. E già questa cosa molto materiale rich iama qualcosa di altrettanto spirituale. E cioè che la nostra vita è un viaggio, anzi, un pellegrinaggio, ed è molto importante questa cosa. Perché il contra rio del pellegrinaggio è il vagabondaggio, il contrario del pellegrino è il vagabondo. Il pellegrino sa da dov e parte e dove sta andando, e quindi tutte le sue energie le spende per raggiungere la meta. Il vagabondo no, no n ha una meta, cammina, si siede, dorme, guarda le vetri ne, gira a destra o a sinistra, ovunque vada è indifferente, magari arriva al mare con gli scarpon i di montagna e in montagna col salvagente. Ecco, n oi possiamo vivere la vita da pellegrini o da vagabond i. Dipende da noi. Spesso purtroppo la viviamo da vagabondi, nonostante la fede che abbiamo ricevuto nel Battesimo e che ci dice esattamente il contrari o: noi sappiamo da dove veniamo, chi ci ha generati, d ove stiamo andando, e anche quali sono i mezzi necessari per raggiungere la meta. Veniamo da un Di o che è Padre, sappiamo di essere suoi figli amati come Gesù il Figlio, e il Figlio ci ha mostrato con la sua risurrezione che la meta della nostra vita, la terra promessa, la casa del Signore che abiteremo per lun ghissimi anni, per l’eternità, è il Paradiso. Ciò v uol dire che anche il nostro sguardo sulla morte non deve es sere come quello dei vagabondi che non sanno qual è la loro meta, e nemmeno come quelli che, vagabondi o m eno, pensano che la meta della vita sia semplicemente quella di finire sotto terra o in un urna. E il Figlio ci ha dato gli strumenti necessar i per conseguire questa meta: la sua Parola, lo Spirito s anto, i sacramenti, l’appartenenza alla Chiesa. La sua Parola che insegna la via da seguire, e la vita da seguire è la stessa che ha percorso lui, la via del l’amore; lo Spirito santo e i sacramenti sono la forza che ci d a per vivere questa Parola, per metterla in pratica ; la Chiesa è la compagnia dei fratelli coi quali condiv idiamo questo cammino dietro all’unico pastore. E c osì torniamo al salmo e alla prima parte nella quale si parla proprio del pastore e si dice che è il Signo re il mio pastore. Pastore è una delle immagini privilegiate della Bibbia per parlare di Dio. Perché per i popol i di quel tempo, il pastore è la guida del gregge che sa punt are verso l’oasi o il pascolo erboso dove il gregge può dissetarsi e nutrirsi, e sa scartare le piste peric olose, ed è quello che fa Dio con il suo popolo. Ma il pastore è anche il compagno di viaggio per il quale le ore del suo gregge sono le sue stesse ore, stessi i ris chi, stessa la sete, stessa la fame, mentre il sole batte impla cabile su lui e su tutto il gregge. Quindi è attent o soprattutto alle pecore più deboli. Senza pastore l e pecore muoiono. Così fa Dio con noi. Certamente p er noi sentirci paragonati ad una pecora non è bello. Ma in realtà questa immagine della pecora vuol dire un’altra cosa, e cioè che noi siamo sempre condotti da un desiderio, è il desiderio che abbiamo che ci fa da pastore, che ci guida. Perché l'uomo, come dicevo, se è un pellegrino, è uno che cammina ed ha un obbiettivo, a differenza dell'animale o che ha l'is tinto, fa quello che deve fare e basta. La guida de ll’uomo è il suo desiderio. Ora, se hai come desiderio il pas tore della vita, quello ti conduce alla vita, se ha i come pastore la morte, è il salmo 48, uno che fa consist ere i suoi desideri nell'avere le cose e nel posses so, allora vai verso la morte. L'importante è scoprire cos'è c he ci guida nella vita, se è il Signore della vita o il signore della morte. Chi ha il Signore come suo pastore rip one in lui la sua sicurezza: il tuo bastone e il tu o vincastro sono il mio sostegno. Leggevo di un pastore sardo c he spiegava che il bastone serve per far fuori i lu pi, per difendersi, quindi è robusto, il vincastro invece è una verga sottile e leggera che da dietro tocca leggermente le pecore. Vuol dire che il Signore, da buon pastore, ci guida con la forza contro il male per difenderci, e con la delicatezza per trovare i pasc oli e l'acqua, perché la pecora da sola non sa né d ov'è il pascolo, né dov'è l'acqua. E così cosa succede? Che in mezzo alle croci e alle difficoltà che la vita presenta, dimentichiamo la grande verità contenuta nel medesi mo versetto, dove si dice che appunto perché il Signore ci sostiene col suo bastone e il suo vincas tro io posso anche passare per la valle più oscura senza temere alcun male. Parole che appunto dovrebbero da vvero sostenere i momenti più difficili dell’esiste nza. Gesù sulla croce ci mostra come Dio non ci libera d ai problemi e dalla morte, ma in mezzo ai problemi e alla morte è con noi, non ci lascia soli, cioè ci consol a, perché consolare vuol dire non far sentire solo uno che si sente solo, perché è il Dio con noi, è colui che ne i momenti più bui non smette di condividerli e pati rli con noi continuando a guidarci con la forza del suo Spi rito, attraverso i sacramenti e illuminandoci con l a sua parola. Noi purtroppo ci pascoliamo molto di televi sione invece che della parola di Dio e infatti si v edono i risultati. Più che pecore noi rischiamo spesso di d iventare caproni. È interessante questa distinzione . Pensate quando nel capitolo 25 di Matteo Gesù, parl ando del giudizio universale, dice che il Signore separerà le pecore dai capri. Perché i buoni sono c hiamati pecore e i cattivi capri? Guidata dall’isti nto, la capra sa trovare cibo. La pecora invece no: si mett e al seguito suo o di un pastore. Noi uomini non si amo solo istinto, ma siamo desiderio di felicità, e la felicità è l’amore corrisposto. Chi non si sa amato e si sente nessuno, è posseduto dall’istinto di mangiare tutto e tutti perché si sente vuoto. Ecco, Gesù nel vang elo di Giovanni, al capitolo 10, dice di essere lui il buo n pastore, anzi il bel pastore che vuole portare le sue pecore fuori dal recinto. Cosa vuol dire questa immagine? Nel recinto le pecore sono munte, tosate o vendute per il essere macellate. Gesù invece vuol condurre gli uomini fuori da tutte le recinzioni, per portarli a lla libertà dei figli di Dio. E Dio è bellezza di amore a servi zio di ogni uomo che è suo figlio, fatto a sua imma gine e somiglianza. Ognuno, lo sappia o no, per Dio vale p iù di lui: dà la sua vita per lui! Gesù è «pastore bello» perché Agnello che espone, dispone e depone la sua vita per tutti. Proprio così è Signore della vita e vince la morte. Per questo Gesù è il profumo del Padre, ha l o stesso odore del Padre, ma essendo pastore che st a con le pecore odora anche delle pecore. Chi non odo ra di pecora, non è pastore: è ladro e brigante che ruba e uccide. Ricordate quando papa Francesco ha r ichiamato noi sacerdoti su questa cosa, e cioè sul fatto che anche noi, come Gesù, dobbiamo odorare di pecor a, perché allora vuol dire che siamo davvero pastor i che danno la vita per il loro gregge. Pregate il Si gnore perché davvero impariamo a diventarlo. Infine , vorrei dire un’ultima cosa riferita agli ultimi versetti d el salmo, nei quali si parla di Dio buon pastore ch e ci ospita nella sua casa, nei suoi atri e mettendosi a servir mi, e questo servizio è descritto nel modo in cui a llora si usava trattare gli ospiti quando entravano in casa: profuma il mio capo (ungi di olio il mio capo), of fre la coppa spumeggiante dell’amicizia (il mio calice tra bocca), imbandisce davanti a me una mensa assicurandomi la protezione dai nemici. Tutte immag ine usate dal salmista riferendosi a quello che accadeva quando si entrava nel tempio del Signore p er offrire i sacrifici, perché come dicevamo questo salmo veniva cantato durante il pellegrinaggio a Ge rusalemme. La cosa straordinaria, qui, qual è? e Ge sù la rivelerà pienamente. Che in realtà non siamo noi ch e sacrifichiamo qualcosa a Dio, ma è lui che si sac rifica per noi, fino a donare se stesso. Se io ospito Dio scopro che è lui per primo che ospita me. E questo diventa molto importante per imparare a vivere la nostra fe de in modo autentico e non farisaico. A vivere cioè i sacramenti, l’ascolto della Parola o qualsiasi altr a cosiddetta pratica religiosa non come un dovere o qualcosa che dobbiamo fare noi per Dio, così lui è contento e ci premia, quasi che Dio, lo dicevamo gi à due volte fa, fosse cattivo e dunque da ingraziarselo c on delle pratiche, ma è esattamente il contrario. S ono doni che lui fa a noi, perché è nostro interesse ch e sia lui il nostro pastore, e l’interesse di Dio, la sua volontà, è che noi abbiamo a comprendere questo per ché la nostra vita sia appunto ricolma di gioia, altrimenti viviamo la vita di fede con angoscia, e non con amore, con lo spirito di Gesù, lo spirito d el Figlio che continuamente ringrazia il Padre, ma con lo spi rito di chi vuole scappare da casa. Infatti il salm o si conclude con le parole che esprimono il desiderio d i abitare per lunghissimi giorni, cioè per l’eterni tà, nella casa del Signore. Certo, io voglio abitare la casa del Signore, voglio essere ospite in casa sua e sen tirmi