“Passato il sabato, all’alba del primo giorno della settimana”. Così
comincia il vangelo della risurrezione, quasi con le stesse parole del
lungo brano del libro della Genesi che parlavano della creazione. Il
sabato è il giorno del riposo di Dio, e il sabato rappresenta la morte:
con la morte noi entriamo nel riposo di Dio, ma non nel senso che
dormiamo per l’eternità, ma nel senso che quando
muore il nostro corpo,
ecco la novità, Dio ci ricrea, ci fa risorgere, ci fa diventare come
Lui. La risurrezione è Dio che continua la sua creazione. L’Angelo del
Signore rotolò la pietra dal sepolcro e si sedette sopra. Non
immaginiamo gli angioletti come di solito vengono raffigurati. Gli
ebrei, che ci tenevano a tenere la distanza tra Dio e gli uomini, quando
volevano significare che Dio entrava in contatto con l’umanità, non
scrivevano mai il «Signore Dio», ma adoperavano sempre l’espressione
«angelo del Signore». L’angelo quindi è Dio che dona la vita. Lo stesso
angelo che impedisce ad Abramo di uccidere suo figlio Isacco. Quanti
cristiani ancora oggi pensano che Dio chiede sacrifici: più faccio
sacrifici più Dio è contento. Come leggevamo nella terza lettura, gli
ebrei offrivano a Dio come sacrificio un agnello perché grazie al sangue
degli agnelli sparsi sulle porte delle loro case quando erano schiavi
in Egitto, erano scampati alla morte. Perché in realtà l’agnello e il
suo sangue prefigurano Gesù: è lui il vero agnello di cui ci nutriamo
nell’eucaristia, che ci dona il suo corpo e il suo sangue, cioè la sua
vita, il suo Spirito. Noi mangiamo lui per diventare come lui, per
risorgere e così non essere più schiavi della morte. Ma per diventare
come lui, come Dio (era la quarta lettura), occorre passare attraverso
il Mar Rosso, che è simbolo non solo della morte del corpo, ma della
morte dentro di noi di tutto ciò che ci impedisce di diventare come Dio,
e cioè la morte del nostro egoismo: lavatevi, purificatevi, cessate di
fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, soccorrete
l’oppresso, diceva il profeta Isaia nella sesta lettura. Questo è quello
che vuole il Signore: l’amore, non il sacrificio. Parole che ci fanno
venire in mente le beatitudini pronunciate da Gesù in Galilea. Ed è per
questo che alle donne viene detto che Gesù risorto lo avrebbero visto in
Galilea. Cosa vuol dire? Che pure noi possiamo vedere e incontrare oggi
Gesù risorto se viviamo le beatitudini. Pasqua vuol dire passaggio.
Risorgere vuol dire passare dalla morte alla vita. Ma non occorre
aspettare di passare dalla morte del corpo per risorgere. Se io vivo con
lo Spirito di Gesù una vita nell’amore, vivendo le beatitudini, io sono
risorto adesso. La vita eterna non è la ricompensa che avremo dopo la
morte se oggi ci comportiamo bene, ma è la vita di Dio in noi che ci fa
essere beati già adesso, risorti adesso, se facciamo morire in noi tutto
ciò che è male. Perché fin dall’antichità nella veglia pasquale
venivano celebrati i battesimi e perché il richiamo al Battesimo è così
forte in questa liturgia? Tra poco, anche se quest’anno non ci sono
battezzandi, iniziamo la terza parte della veglia che è la liturgia
battesimale. Perché non dobbiamo dimenticarci che essere battezzati vuol
dire essere già risorti, già uniti a Cristo. Se ce lo dimentichiamo
viviamo la vita come dei morti, immersi ancora nelle acque del Mar Rosso
(cioè immersi nelle nostre paure che ci portano ad essere tristi,
egoisti, a vivere male la vita e farla vivere male agli altri), invece
di essere immersi nell’acqua viva che zampilla e ci da la vita eterna.
Impariamo dunque a prendere almeno coscienza di tutto questo, stanotte.
Com’è importante. Le nostre eucaristie diventerebbero quello che
dovrebbero essere, e cioè esplosioni di gioia che si manifestano qui con
una partecipazione corale e vivace, e fuori di qui con una vita che
pian piano diventa diversa. Se non accade è perché non abbiamo capito
che davvero Gesù è venuto a dare la vita, a fare risorgere non i morti
(perché la sua Pasqua ci mostra che la morte non esiste, è solo del
corpo, della ciccia), ma è venuto fare risorgere noi che siamo vivi.