CATECHESI ADULTI 2015/2016: GENESI 1-11
SECONDO INCONTRO: GENESI 2
Molto diverso è questo secondo racconto della creaz
ione dal primo. Il primo è un testo liturgico celeb
rativo, il
secondo un racconto mitico che lo scopo di spiegare
la realtà presente. Il mito è un modo antico di sp
iegare la realtà:
non sono favole, ma l’interpretazione della realtà
attraverso un
racconto. L’evento storico è una situ
azione che si
presenta una volta sola, è un fatto irripetibile. I
nvece il fatto mitico è una realtà che si ripete se
mpre.
La struttura di questo racconto è lo schema dell’Al
leanza. Dio fa l’uomo, poi lo prende e lo mette in
un giardino e gli
dà una legge, così come Dio prese Israele dall’Egit
to e lo mise nella Terra Promessa e gli diede una l
egge. Se Israele la
osserva, vive nell’amicizia con Dio, se non la osse
rva, rischierà di perdere la terra.
4b
Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il
cielo
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nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna
erba
campestre era spuntata, perché il Signore Dio non a
veva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che
lavorasse il
suolo,
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ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigav
a tutto il suolo.
7
Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con
polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alit
o di vita e l'uomo divenne un essere vivente.
Nel primo racconto l’ultima realtà creata è l’uomo,
qui è la prima. Ma i due testi dicono la stessa co
sa. Tutto il creato
è fatto per l’uomo e senza l’uomo, che ha coscienza
di tutto, quasi non esiste la realtà.
Ma uomo è Adam, che vuol dire il genere umano, non
il maschio. Adam perché è parente della terra (adam
ah).
C’è iš (vyai) per indicare l’uomo maschio, iššah (h
V'ai) al femminile, per indicare la donna. E qui si
parla di Adam.
Ognuno di noi è Adam.
Ma l’uomo non è solo di polvere del suolo, è anche
nešamah, autocoscienza, capacità di conoscersi, di
giudicarsi,
libertà creativa, capacità di introspezione e di in
tuizione, coscienza: questo è il soffio di Dio in l
ui.
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Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a or
iente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato.
Per un orientale il giardino è il massimo che la na
tura possa offrire. È l’oasi, è l’ambiente dove si
sta bene. Dio non fa
costruire all’uomo il giardino, ma glielo offre.
9
Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sort
a di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare,
e l'albero della
vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscen
za del bene e del male.
Nelle tradizioni mitiche antiche l’albero è sempre
l’asse di collegamento umano–divino.
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Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, p
oi di lì si divideva e formava quattro corsi.
11
Il primo fiume si
chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la region
e di Avìla, dove si trova l'oro
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e l'oro di quella regione è fino; vi
si trova pure la resina odorosa e la pietra d'ònice
.
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Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre atto
rno a tutta
la regione d'Etiopia.
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Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a orien
te di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate.
15
Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino
di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse.
Prese e pose. È lo schema dell’Alleanza. Dio prese
Israele dalla terra d’Egitto e lo portò nella terra
dove scorre latte e
miele. Prende l’uomo dalla sua natura terrosa e des
ertica e lo colloca in una situazione di benessere.
Dio vuole il
bene dell’uomo, che lo prende da una situazione di
vuoto, di aridità, e lo mette in una situazione di
fertilità e
benessere. In questo giardino l’uomo ha il compito
di coltivarlo e custodirlo, ma non per il bene di D
io, ma
dell’uomo. Coltivare e custodire sono due verbi che
si riferiscono alla relazione con Dio. Vogliono di
re: adorare,
servire il Signore e mettere in pratica i suoi coma
ndamenti.
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Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu p
otrai mangiare di tutti gli alberi del giardino,
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ma
dell'albero della conoscenza del bene e del male no
n devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne ma
ngerai,
certamente dovrai morire».
Dio crea l’uomo libero di far tutto. Può mangiare d
i tutti gli alberi del giardino. Ma gli da le istru
zioni per l’uso. Se
vuoi custodire la vita (l’albero della vita), non m
angiare dei frutti dell’albero della conoscenza del
bene e del male.
Mangiare una realtà vuol dire assimilarla, farla pr
opria, diventarne padrone. Mangiare dell’albero del
la conoscenza
equivale a dire: dominare la morale, essere padrone
di decidere il bene e il male. Mangiare di questo
albero equivale
a morire: quando, cioè, l’uomo rifiuta Dio, nel mom
ento in cui l’uomo pretende di essere autonomo, di
decidere
autonomamente qual è il bene e il male, l’unica cos
a che riuscirà a trovare è la morte. Non è una puni
zione, ma un
mettere all’erta. “Tu non sei Dio, sei polvere e in
sieme immagine di Dio, e solo vivendo in relazione
con Dio
accettando quello che sei, sarai veramente uomo. Se
accetti di non essere Dio e vivi in obbedienza all
e mie leggi,
allora puoi anche mangiare dell’albero della vita,
allora la vita è tua, allora la vita la gestisci tu
, allora sei tu il signore
della vita, proprio come sei signore del giardino”.
“Tutto è vostro, se voi siete di Cristo, e Cristo
è di Dio”. Tutto è
nostro se noi viviamo in obbedienza a Dio. La vita
è nostra, non c’è da aver paura, la vita ci apparti
ene, se noi però
non mangiamo dell’albero della conoscenza del bene
e del male. Quindi se noi capiamo che, sì, questa v
ita ci
appartiene, ma ci appartiene come dono che noi rice
viamo e che dobbiamo continuare a rispettare e a vi
vere come
dono senza mai appropriarcene e senza mai dire: “Qu
esta è roba mia e ci faccio quello che mi pare”, pe
rché questa è
roba mia, ma è mia perché c’è Lui che me la dà, e q
uindi è mia mentre continua ad essere sua.
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E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia
solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».
Non è bene che l’uomo sia un individuo chiuso in se
stesso. L’uomo per poter esistere deve ex–sistere,
porsi fuori,
entrare in relazione: l’uomo è un essere di relazio
ne. Noi diremmo: Gli voglio fare una persona da gua
rdare negli
occhi. Parliamo sempre della persona umana. È la pe
rsona umana che non è bene che sia sola.
19
Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta d
i animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e
li condusse
all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in q
ualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli e
sseri
viventi, quello doveva essere il suo nome.
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Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutt
i gli uccelli del cielo
e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non
trovò un aiuto che gli corrispondesse.
Dare il nome è segno di conoscenza e anche di domin
io. Poter dare il nome alla realtà è segno di conos
cenza e di
padronanza. Elencare, uno per uno, i nomi delle var
ie realtà, catalogare, classificare, dividere gli a
nimali, distinguere
gli uccelli dai mammiferi: è il principio della sci
enza. Dio offre all’uomo la possibilità della scien
za. E in qualunque
modo l’uomo li avesse chiamati, quello doveva esser
e il loro nome. La ricerca scientifica è totalmente
nelle mani
dell’uomo. L’antico autore non pensava che la ricer
ca scientifica andasse tanto avanti come sappiamo n
oi...
Ma l’uomo «non trovò una persona che lo potesse gua
rdare in volto». Gli animali li conosce, li catalog
a, li classifica,
ma non sono simili a lui; non sono totalmente confo
rmi alla sua persona, non sono sufficienti, perché
l’uomo sia
realizzato in una relazione secondo la volontà del
Creatore.
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Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull
'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costo
le e richiuse
la carne al suo posto.
22
Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolt
a all'uomo, una donna e la condusse
all'uomo.
Il torpore indica il sonno estatico, per dire per d
ire che siamo alla presenza di un grande evento div
ino che rimane
misterioso alla scienza dell’uomo.
Il Signore Dio plasma la femmina col medesimo mater
iale del maschio. Viene dalla terra come il maschio
, ma non è
una realtà diversa come le altre creature: ha la st
essa natura del maschio.
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Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie
ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna,
perché
dall'uomo è stata tolta».
La prima poesia d’amore. L’uomo in realtà non le da
un nome come lo da agli animali. In ebraico uomo e
donna sono
nomi della stessa radice: iš (uomo) e iššah (donna)
; come se in italiano avessimo «uomo e uoma». L’uom
o dunque
non dà «un» nome alla donna, ma le dà il suo stesso
nome. Proprio riconoscendola come ‘ishsha lui si s
copre ‘ish.
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Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e s
i unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carn
e.
Ecco il matrimonio e la giustificazione dell’abband
ono della casa paterna che viene lasciata alle spal
le per la
formazione di una nuova comunità, fortemente basata
su un vincolo di alleanza!
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Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e
non provavano vergogna.
Il termine nudità e l’aggettivo nudo nella cultura
biblica e orientale in genere indicano l’uomo nella
propria
limitatezza creaturale. Il vestito è il segno della
dignità e la vestizione è il momento in cui una pe
rsona assume una
certa dignità o si identifica con una nuova realtà.
L’essere nudo degli uomini è proprio il limite uma
no che esiste, e
nel sogno di Dio questo limite deve diventare luogo
di comunione e non di scontro.