giovedì 7 gennaio 2016

CATECHESI ADULTI 2015/2016 - SECONDO INCONTRO

CATECHESI ADULTI 2015/2016: GENESI 1-11 SECONDO INCONTRO: GENESI 2
 Molto diverso è questo secondo racconto della creaz ione dal primo. Il primo è un testo liturgico celeb rativo, il secondo un racconto mitico che lo scopo di spiegare la realtà presente. Il mito è un modo antico di sp iegare la realtà: non sono favole, ma l’interpretazione della realtà attraverso un
racconto. L’evento storico è una situ azione che si presenta una volta sola, è un fatto irripetibile. I nvece il fatto mitico è una realtà che si ripete se mpre. La struttura di questo racconto è lo schema dell’Al leanza. Dio fa l’uomo, poi lo prende e lo mette in un giardino e gli dà una legge, così come Dio prese Israele dall’Egit to e lo mise nella Terra Promessa e gli diede una l egge. Se Israele la osserva, vive nell’amicizia con Dio, se non la osse rva, rischierà di perdere la terra. 4b Nel giorno in cui il Signore Dio fece la terra e il cielo 5 nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata, perché il Signore Dio non a veva fatto piovere sulla terra e non c'era uomo che lavorasse il suolo, 6 ma una polla d'acqua sgorgava dalla terra e irrigav a tutto il suolo. 7 Allora il Signore Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alit o di vita e l'uomo divenne un essere vivente. Nel primo racconto l’ultima realtà creata è l’uomo, qui è la prima. Ma i due testi dicono la stessa co sa. Tutto il creato è fatto per l’uomo e senza l’uomo, che ha coscienza di tutto, quasi non esiste la realtà. Ma uomo è Adam, che vuol dire il genere umano, non il maschio. Adam perché è parente della terra (adam ah). C’è iš (vyai) per indicare l’uomo maschio, iššah (h V'ai) al femminile, per indicare la donna. E qui si parla di Adam. Ognuno di noi è Adam. Ma l’uomo non è solo di polvere del suolo, è anche nešamah, autocoscienza, capacità di conoscersi, di giudicarsi, libertà creativa, capacità di introspezione e di in tuizione, coscienza: questo è il soffio di Dio in l ui. 8 Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a or iente, e vi collocò l'uomo che aveva plasmato. Per un orientale il giardino è il massimo che la na tura possa offrire. È l’oasi, è l’ambiente dove si sta bene. Dio non fa costruire all’uomo il giardino, ma glielo offre. 9 Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sort a di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l'albero della vita in mezzo al giardino e l'albero della conoscen za del bene e del male. Nelle tradizioni mitiche antiche l’albero è sempre l’asse di collegamento umano–divino. 10 Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, p oi di lì si divideva e formava quattro corsi. 11 Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre attorno a tutta la region e di Avìla, dove si trova l'oro 12 e l'oro di quella regione è fino; vi si trova pure la resina odorosa e la pietra d'ònice . 13 Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre atto rno a tutta la regione d'Etiopia. 14 Il terzo fiume si chiama Tigri: esso scorre a orien te di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate. 15 Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse. Prese e pose. È lo schema dell’Alleanza. Dio prese Israele dalla terra d’Egitto e lo portò nella terra dove scorre latte e miele. Prende l’uomo dalla sua natura terrosa e des ertica e lo colloca in una situazione di benessere. Dio vuole il bene dell’uomo, che lo prende da una situazione di vuoto, di aridità, e lo mette in una situazione di fertilità e benessere. In questo giardino l’uomo ha il compito di coltivarlo e custodirlo, ma non per il bene di D io, ma dell’uomo. Coltivare e custodire sono due verbi che si riferiscono alla relazione con Dio. Vogliono di re: adorare, servire il Signore e mettere in pratica i suoi coma ndamenti. 16 Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: «Tu p otrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, 17 ma dell'albero della conoscenza del bene e del male no n devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne ma ngerai, certamente dovrai morire». Dio crea l’uomo libero di far tutto. Può mangiare d i tutti gli alberi del giardino. Ma gli da le istru zioni per l’uso. Se vuoi custodire la vita (l’albero della vita), non m angiare dei frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Mangiare una realtà vuol dire assimilarla, farla pr opria, diventarne padrone. Mangiare dell’albero del la conoscenza equivale a dire: dominare la morale, essere padrone di decidere il bene e il male. Mangiare di questo albero equivale a morire: quando, cioè, l’uomo rifiuta Dio, nel mom ento in cui l’uomo pretende di essere autonomo, di decidere autonomamente qual è il bene e il male, l’unica cos a che riuscirà a trovare è la morte. Non è una puni zione, ma un mettere all’erta. “Tu non sei Dio, sei polvere e in sieme immagine di Dio, e solo vivendo in relazione con Dio accettando quello che sei, sarai veramente uomo. Se accetti di non essere Dio e vivi in obbedienza all e mie leggi, allora puoi anche mangiare dell’albero della vita, allora la vita è tua, allora la vita la gestisci tu , allora sei tu il signore della vita, proprio come sei signore del giardino”. “Tutto è vostro, se voi siete di Cristo, e Cristo è di Dio”. Tutto è nostro se noi viviamo in obbedienza a Dio. La vita è nostra, non c’è da aver paura, la vita ci apparti ene, se noi però non mangiamo dell’albero della conoscenza del bene e del male. Quindi se noi capiamo che, sì, questa v ita ci appartiene, ma ci appartiene come dono che noi rice viamo e che dobbiamo continuare a rispettare e a vi vere come dono senza mai appropriarcene e senza mai dire: “Qu esta è roba mia e ci faccio quello che mi pare”, pe rché questa è roba mia, ma è mia perché c’è Lui che me la dà, e q uindi è mia mentre continua ad essere sua. 18 E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». Non è bene che l’uomo sia un individuo chiuso in se stesso. L’uomo per poter esistere deve ex–sistere, porsi fuori, entrare in relazione: l’uomo è un essere di relazio ne. Noi diremmo: Gli voglio fare una persona da gua rdare negli occhi. Parliamo sempre della persona umana. È la pe rsona umana che non è bene che sia sola. 19 Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta d i animali selvatici e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in q ualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli e sseri viventi, quello doveva essere il suo nome. 20 Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, a tutt i gli uccelli del cielo e a tutti gli animali selvatici, ma per l'uomo non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Dare il nome è segno di conoscenza e anche di domin io. Poter dare il nome alla realtà è segno di conos cenza e di padronanza. Elencare, uno per uno, i nomi delle var ie realtà, catalogare, classificare, dividere gli a nimali, distinguere gli uccelli dai mammiferi: è il principio della sci enza. Dio offre all’uomo la possibilità della scien za. E in qualunque modo l’uomo li avesse chiamati, quello doveva esser e il loro nome. La ricerca scientifica è totalmente nelle mani dell’uomo. L’antico autore non pensava che la ricer ca scientifica andasse tanto avanti come sappiamo n oi... Ma l’uomo «non trovò una persona che lo potesse gua rdare in volto». Gli animali li conosce, li catalog a, li classifica, ma non sono simili a lui; non sono totalmente confo rmi alla sua persona, non sono sufficienti, perché l’uomo sia realizzato in una relazione secondo la volontà del Creatore. 21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull 'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costo le e richiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolt a all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Il torpore indica il sonno estatico, per dire per d ire che siamo alla presenza di un grande evento div ino che rimane misterioso alla scienza dell’uomo. Il Signore Dio plasma la femmina col medesimo mater iale del maschio. Viene dalla terra come il maschio , ma non è una realtà diversa come le altre creature: ha la st essa natura del maschio. 23 Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta». La prima poesia d’amore. L’uomo in realtà non le da un nome come lo da agli animali. In ebraico uomo e donna sono nomi della stessa radice: iš (uomo) e iššah (donna) ; come se in italiano avessimo «uomo e uoma». L’uom o dunque non dà «un» nome alla donna, ma le dà il suo stesso nome. Proprio riconoscendola come ‘ishsha lui si s copre ‘ish. 24 Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e s i unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carn e. Ecco il matrimonio e la giustificazione dell’abband ono della casa paterna che viene lasciata alle spal le per la formazione di una nuova comunità, fortemente basata su un vincolo di alleanza! 25 Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna. Il termine nudità e l’aggettivo nudo nella cultura biblica e orientale in genere indicano l’uomo nella propria limitatezza creaturale. Il vestito è il segno della dignità e la vestizione è il momento in cui una pe rsona assume una certa dignità o si identifica con una nuova realtà. L’essere nudo degli uomini è proprio il limite uma no che esiste, e nel sogno di Dio questo limite deve diventare luogo di comunione e non di scontro.