domenica 24 gennaio 2016

TERZA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

Come spiegavo domenica scorsa, l’epifania non è fin ita il 6 gennaio, ma prosegue in queste domeniche. Epifania, lo sappiamo, significa manifestazione. Davanti ai Magi Gesù manifesta che Dio rivela il suo volto a tutti i popoli della terra; col suo Battesimo al Giordano, mettendosi in fila coi peccatori, manifesta che nemmeno il pecca to può separarci da Dio, nelle nozze di Cana manifesta la
gloria di Dio che è quella di voler unirsi a noi am andoci come uno sposo ama la sua sposa, riempiendo del suo vino, ri empiendo di gioia le anfore vuote della nostra vita . Oggi il vangelo ci presenta una terza epifania del Signore che erroneamente viene chiamata il miracolo della m oltiplicazione dei pani e dei pesci. In realtà non fu né un miraco lo né una moltiplicazione. Nei vangeli non si parla di miracoli, ma di guarigioni, e poi vengono raccontati alcuni prodigi operati da Gesù che però sono chiamati segni. Quel lo della trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Can a era un segno. Cioè Gesù compì un gesto che voleva significare, manifestare non che lui era un mago, ma che abbiamo bisogno di riempire le nostre vite, le anfore, del l’acqua che è la sua Parola perché così facendo quest’acqua si tr asforma in vino, che è simbolo di gioia, per dire c ioè che se ci riempiamo della sua Parola e ci lasciamo amare da L ui come la sposa dallo sposo, abbiamo la gioia, la vita eterna, la vita divina. Anche quello di oggi è un segno, e all ora proviamo ad analizzarlo. Prima di tutto è racco ntato da tutti gli evangelisti. Noi abbiamo letto la versione di Matte o, e Matteo lo racconta due volte. Magari a noi le ripetizioni annoiano o non piacciono, ma se a ripetersi sono co se brutte, perché quelle belle più le ripeti più ci godi, come sentirsi dire “ti amo o ti voglio bene”, e più una cosa viene ripetuta, più ci entra dentro, e questo episodio è il segno dell’eucaristia che si ripete, si, proprio della me ssa che noi ripetiamo ogni giorno e ogni domenica e che ci appare noiosa, forse perché non ne capiamo il vero signifi cato, e a questo proposito questo vangelo capita a fagiolo come introduzione alle giornate eucaristiche che faremo venerdì, sabato e domenica. Nei versetti precedenti a quelli che abbiamo letto, Matteo scrive che misero ai piedi di Gesù zoppi, storpi, ciechi e sordi, ed egli li gua rì. Vedete? Un segno, non un miracolo. Sono 4 categorie di persone , e il quattro indica la totalità come le direzioni del mondo, per dire che ci siamo dentro tutti, e tutti siamo zoppi perché non sappiamo camminare verso la meta della vita, e non la raggiungiamo perché siamo storpi, deformi, ripiegat i sulle nostre paure, e poi perché siamo ciechi, no n sappiamo qual è la direzione da prendere, e siamo ciechi per ché siamo sordi, perché non ascoltiamo la sua Parol a. E lui ci guarisce da tutto questo, ecco il miracolo, e come ci guarisce? Guardiamo cosa succede. Anzitutto con la sua compassione: sento compassione per la folla perché sono digiuni da tre giorni e non voglio che svengan o lungo il cammino. Compassione vuol dire partecipazione alla sofferenza dell’altro e i tre giorni sono quelli di Gesù nel sepolcro. Cioè Dio ci guarisce anzitutto dalla paur a della morte che fa si che noi viviamo male e con terrore il cammino della vita, ci guarirà con la sua risurrezi one da questa paura, ma nel frattempo, mentre vivia mo, come ci guarisce? Come ci conduce alla terra promessa fatta di latte e miele di cui parlava la prima lettura? Non risolvendoci i problemi e togliendoci le croci e impedendo che mor iamo, perché Dio non è un mago. Ci guarisce donando ci il suo pane. Il pane rappresenta tutto, la vita con le sue gioie, dolori e fatiche. E il problema della vita è trovare il pane giusto, e non è questione di michette o francesini. E i discepoli gli chiedono dove possono trovare qu esto pane, e la cosa divertente è che loro avevano già assistito un a volta a quello che Gesù aveva fatto in una circos tanza analoga, a dimostrazione che le cose belle vanno ripetute, per ché ogni volta siamo daccapo, non ce le ricordiamo, fatichiamo a capirle, come la messa appunto, come questo vangelo che chissà quante volte lo abbiamo ascoltato, ma a ncora non l’abbiamo capito. Gesù chiede quanti panni hanno, p erché il pane c’è, sette pani, e sette nel mondo eb raico vuol dire tutto. Vuol dire che noi abbiamo tutto quello di cu i abbiamo bisogno per essere felici, per non essere più zoppi, storpi, ciechi, sordi. Il problema è come usiamo ch e abbiamo. E Gesù insegna come usare quello che abb iamo diventando lui stesso pane, facendosi lui pane da m angiare perché diventiamo pane anche noi, e fa vede re come si fa. Prende quei pani, perché nella vita dobbiamo pr endere tutto, se no moriamo, ma possiamo prendere t utto con la mano aperta, come un dono, o con la mano chiusa per trattenere. Gesù prende il pane con la mano aperta , rende grazie, perché sa che è un dono, e di conseguenza c osa fa? Lo spezza. Altro che moltiplicarlo. O megli o, spezzandolo lo moltiplica per tutti. Lo da ai discepoli perché lo diano alla folla: fate questo in memoria di me. Ne avanzarono sette sporte e mangiarono in quattromila, 4 per mille, 4 sono i punti cardinali e 1000 indica la totalità: v uol dire che se viviamo la vita così, può saziarsi tutta l’umanità. Quindi Gesù sta spiegando con questo prodigio che il segreto della vita che ci fa giungere alla terra promessa in cui scorrono latte e miele è quello di prendere il suo pane, di riempirci del suo amore, per poter a nostra volta amare come lui, e lui ci ama condividendo la sua vita con noi, non lasciandoci soli, perdonandoci sempre. Questo è l’amore. E l’am ore non si compra, è un dono. Noi pensiamo: se hai soldi, compri, mangi e vivi; se non hai i soldi non compri , non mangi, non vivi. Gesù dice: date quello che a vete. Con il verbo comprare si crea sempre disuguaglianza e aume nta la fame, con il verbo dare, con la condivisione , si sfama e si crea l’abbondanza. Allora Gesù non chiede di moltip licare pani e pesci, ma di condividere quello che a bbiamo. Lo spiega bene san Paolo nell’epistola, che la carità fraterna è la continuazione del dono di Dio. Questo è lo scopo della vita ed è ciò che rende bella la vita, ed è quello che accade in ogni eucaristia, dove lui si dona a n oi come pane per farci diventare pane, ci dona il suo sangue, la sua vita, perché viviamo col suo sangue, viviamo la su a vita come Lui, e vivendo la sua vita col suo sangue, col suo Spirito , possiamo già gustare il paradiso in questa vita s pesso d’inferno. Per cui abbiamo bisogno sempre di continue trasfusi oni per vivere la vita divina, ecco perché ripetiam o la messa, non basta una volta, non basta mai, perché non basta ma i sentirci dire ti amo, soprattutto da Dio che è la sorgente dell’amore.