Come spiegavo domenica scorsa, l’epifania non è fin
ita il 6 gennaio, ma prosegue in queste domeniche.
Epifania, lo
sappiamo, significa manifestazione. Davanti ai Magi
Gesù manifesta che Dio rivela il suo volto a tutti
i popoli della
terra; col suo Battesimo al Giordano, mettendosi in
fila coi peccatori, manifesta che nemmeno il pecca
to può
separarci da Dio, nelle nozze di Cana manifesta la
gloria di Dio che è quella di voler unirsi a noi am
andoci come uno
sposo ama la sua sposa, riempiendo del suo vino, ri
empiendo di gioia le anfore vuote della nostra vita
. Oggi il
vangelo ci presenta una terza epifania del Signore
che erroneamente viene chiamata il miracolo della m
oltiplicazione
dei pani e dei pesci. In realtà non fu né un miraco
lo né una moltiplicazione. Nei vangeli non si parla
di miracoli, ma di
guarigioni, e poi vengono raccontati alcuni prodigi
operati da Gesù che però sono chiamati segni. Quel
lo della
trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Can
a era un segno. Cioè Gesù compì un gesto che voleva
significare,
manifestare non che lui era un mago, ma che abbiamo
bisogno di riempire le nostre vite, le anfore, del
l’acqua che è
la sua Parola perché così facendo quest’acqua si tr
asforma in vino, che è simbolo di gioia, per dire c
ioè che se ci
riempiamo della sua Parola e ci lasciamo amare da L
ui come la sposa dallo sposo, abbiamo la gioia, la
vita eterna, la
vita divina. Anche quello di oggi è un segno, e all
ora proviamo ad analizzarlo. Prima di tutto è racco
ntato da tutti gli
evangelisti. Noi abbiamo letto la versione di Matte
o, e Matteo lo racconta due volte. Magari a noi le
ripetizioni
annoiano o non piacciono, ma se a ripetersi sono co
se brutte, perché quelle belle più le ripeti più ci
godi, come
sentirsi dire “ti amo o ti voglio bene”, e più una
cosa viene ripetuta, più ci entra dentro, e questo
episodio è il segno
dell’eucaristia che si ripete, si, proprio della me
ssa che noi ripetiamo ogni giorno e ogni domenica e
che ci appare
noiosa, forse perché non ne capiamo il vero signifi
cato, e a questo proposito questo vangelo capita a
fagiolo come
introduzione alle giornate eucaristiche che faremo
venerdì, sabato e domenica. Nei versetti precedenti
a quelli che
abbiamo letto, Matteo scrive che misero ai piedi di
Gesù zoppi, storpi, ciechi e sordi, ed egli li gua
rì. Vedete? Un
segno, non un miracolo. Sono 4 categorie di persone
, e il quattro indica la totalità come le direzioni
del mondo, per
dire che ci siamo dentro tutti, e tutti siamo zoppi
perché non sappiamo camminare verso la meta della
vita, e non la
raggiungiamo perché siamo storpi, deformi, ripiegat
i sulle nostre paure, e poi perché siamo ciechi, no
n sappiamo
qual è la direzione da prendere, e siamo ciechi per
ché siamo sordi, perché non ascoltiamo la sua Parol
a. E lui ci
guarisce da tutto questo, ecco il miracolo, e come
ci guarisce? Guardiamo cosa succede. Anzitutto con
la sua
compassione: sento compassione per la folla perché
sono digiuni da tre giorni e non voglio che svengan
o lungo il
cammino. Compassione vuol dire partecipazione alla
sofferenza dell’altro e i tre giorni sono quelli di
Gesù nel
sepolcro. Cioè Dio ci guarisce anzitutto dalla paur
a della morte che fa si che noi viviamo male e con
terrore il
cammino della vita, ci guarirà con la sua risurrezi
one da questa paura, ma nel frattempo, mentre vivia
mo, come ci
guarisce? Come ci conduce alla terra promessa fatta
di latte e miele di cui parlava la prima lettura?
Non risolvendoci i
problemi e togliendoci le croci e impedendo che mor
iamo, perché Dio non è un mago. Ci guarisce donando
ci il suo
pane. Il pane rappresenta tutto, la vita con le sue
gioie, dolori e fatiche. E il problema della vita
è trovare il pane
giusto, e non è questione di michette o francesini.
E i discepoli gli chiedono dove possono trovare qu
esto pane, e la
cosa divertente è che loro avevano già assistito un
a volta a quello che Gesù aveva fatto in una circos
tanza analoga, a
dimostrazione che le cose belle vanno ripetute, per
ché ogni volta siamo daccapo, non ce le ricordiamo,
fatichiamo a
capirle, come la messa appunto, come questo vangelo
che chissà quante volte lo abbiamo ascoltato, ma a
ncora non
l’abbiamo capito. Gesù chiede quanti panni hanno, p
erché il pane c’è, sette pani, e sette nel mondo eb
raico vuol dire
tutto. Vuol dire che noi abbiamo tutto quello di cu
i abbiamo bisogno per essere felici, per non essere
più zoppi,
storpi, ciechi, sordi. Il problema è come usiamo ch
e abbiamo. E Gesù insegna come usare quello che abb
iamo
diventando lui stesso pane, facendosi lui pane da m
angiare perché diventiamo pane anche noi, e fa vede
re come si
fa. Prende quei pani, perché nella vita dobbiamo pr
endere tutto, se no moriamo, ma possiamo prendere t
utto con la
mano aperta, come un dono, o con la mano chiusa per
trattenere. Gesù prende il pane con la mano aperta
, rende
grazie, perché sa che è un dono, e di conseguenza c
osa fa? Lo spezza. Altro che moltiplicarlo. O megli
o, spezzandolo
lo moltiplica per tutti. Lo da ai discepoli perché
lo diano alla folla: fate questo in memoria di me.
Ne avanzarono sette
sporte e mangiarono in quattromila, 4 per mille, 4
sono i punti cardinali e 1000 indica la totalità: v
uol dire che se
viviamo la vita così, può saziarsi tutta l’umanità.
Quindi Gesù sta spiegando con questo prodigio che
il segreto della
vita che ci fa giungere alla terra promessa in cui
scorrono latte e miele è quello di prendere il suo
pane, di riempirci
del suo amore, per poter a nostra volta amare come
lui, e lui ci ama condividendo la sua vita con noi,
non lasciandoci
soli, perdonandoci sempre. Questo è l’amore. E l’am
ore non si compra, è un dono. Noi pensiamo: se hai
soldi,
compri, mangi e vivi; se non hai i soldi non compri
, non mangi, non vivi. Gesù dice: date quello che a
vete. Con il
verbo comprare si crea sempre disuguaglianza e aume
nta la fame, con il verbo dare, con la condivisione
, si sfama e si
crea l’abbondanza. Allora Gesù non chiede di moltip
licare pani e pesci, ma di condividere quello che a
bbiamo. Lo
spiega bene san Paolo nell’epistola, che la carità
fraterna è la continuazione del dono di Dio. Questo
è lo scopo della
vita ed è ciò che rende bella la vita, ed è quello
che accade in ogni eucaristia, dove lui si dona a n
oi come pane per
farci diventare pane, ci dona il suo sangue, la sua
vita, perché viviamo col suo sangue, viviamo la su
a vita come Lui, e
vivendo la sua vita col suo sangue, col suo Spirito
, possiamo già gustare il paradiso in questa vita s
pesso d’inferno.
Per cui abbiamo bisogno sempre di continue trasfusi
oni per vivere la vita divina, ecco perché ripetiam
o la messa, non
basta una volta, non basta mai, perché non basta ma
i sentirci dire ti amo, soprattutto da Dio che è la
sorgente
dell’amore.