venerdì 18 luglio 2025

25/05/25 VI DOMENICA DI PASQUA

Ci avviamo verso la conclusione del tempo di Pasqua: giovedì è la solennità dell’Ascensione e poi inizia la novena che ci conduce alla Pentecoste. Il vangelo di oggi, in qualche modo ci introduce a questi due grandi avvenimenti, ascensione e pentecoste, che altro non sono se non le due facce della 

stessa medaglia che è la Pasqua. Cosa vuol dire che Cristo è risorto? Vuol dire che è asceso al cielo, e cioè che è entrato pienamente nella condizione divina, ma la sua non è un’assenza, perché continua a rendersi presente con la forza dello Spirito Santo. Questo deve essere motivo di gioia per i suoi discepoli. Noi non siamo meno fortunati di quelli che lo videro risorto, perché adesso la sua presenza può essere sperimentata da tutti. O meglio, da tutti coloro che sono docili all’azione dello Spirito, cioè che si mettono in sintonia col messaggio di Gesù. Anche a noi viene spesso da dire, come ai discepoli, che non comprendiamo le sue parole, e Gesù continua a ripetere anche a noi: “molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso, ma sarà lo Spirito Santo a guidarvi alla verità tutta intera”. Cosa significa questa risposta? La verità che Gesù manifesta è che Dio è Padre datore di vita, che noi siamo figli amati e gli altri sono fratelli da amare come lui ha amato noi (era il vangelo delle scorse domeniche): questa è l’unica cosa che Dio vuole e questa è l’unica strada per la salvezza, per poter risorgere, per trasformarci, per diventare come Dio, per avere una vita indistruttibile, capace di superare anche la morte. Perciò, il peso del messaggio di Gesù lo può capire e portare solo chi, come lui, ha orientato la propria vita per il bene dell’altro ed è disposto al dono della propria vita, cioè solo chi mette il bene di ogni uomo come valore supremo della propria esistenza. Voi, dice Gesù ai suoi discepoli, ancora non avete capito fin dove arriverà il mio amore, e quindi, che Dio non è la lampada di Aladino da strofinare ogni tanto per chiedergli di esaudire i nostri desideri, ma è colui che ha il potere di trasformare radicalmente il vostro modo di pensare e di vivere, diventando uomini e donne capaci di amare gli altri come me. Solo chi entra in sintonia con questa verità può sperimentare la gioia del vangelo, cioè la presenza viva di Cristo, e quindi entrare in contatto col divino. L’autore della lettera agli Ebrei, infatti, parla di Gesù come dell’unico vero sacerdote capace di farci entrare in comunione col Padre. Non abbiamo bisogno di altri mediatori, perché è Gesù che ci fa conoscere il Padre, ma è solo attraverso di lui, cioè, percorrendo la via dell’amore che egli ha percorso, con la forza del suo Spirito, che questo è possibile. La riprova ce la dà san Paolo raccontando il momento della sua illuminazione. Paolo andava in giro a imprigionare o uccidere chi non la pensava come lui, e lo faceva proprio nel nome di Dio, per difendere Dio, come se Dio non avesse le spalle abbastanza grosse per difendersi da solo. Per amore della verità, della sua verità, ammazzava gli altri. Quando il Signore Gesù gli dice: tu perché mi perseguiti? in quel momento Paolo capisce la differenza tra l’amore per la verità e la verità dell’amore: l’amore per la verità porta ad ammazzare gli altri, mentre la verità dell’amore (che Dio è Padre, che noi siamo suoi figli e gli altri sono fratelli da accogliere e amare) conduce a orientare la propria vita per il bene degli altri. In quel momento sperimenta la presenza viva di Cristo. Dopo oltre 2000 anni, adesso tocca a noi lasciarci avvolgere dalla stessa luce da cui fu avvolto Paolo.