Come avrete notato, questo vangelo è diviso in due scene molto simili. La prima scena si svolge la sera del giorno di Pasqua, la seconda otto giorni dopo, come oggi. Nella prima scena Tommaso non c’è, nella seconda sì. In entrambe le scene Gesù risorto si presenta ai discepoli dicendo “Pace a voi” e
mostrando loro i segni delle sue ferite di crocifisso. Di cosa ci sta parlando l’evangelista? Di quello che accade ogni volta che celebriamo l’eucaristia. Noi la celebriamo otto giorni dopo la Pasqua. L’otto è il numero dell’eternità, della risurrezione: vuol dire che Gesù risorto è Vivo, per sempre, e quando celebriamo l’eucaristia si rende presente con le sue piaghe di crocifisso, per mostrarci che l’amore è più forte della morte, e vuole continuamente donarcelo perché noi siamo come Tommaso che la prima volta, quando Gesù risuscitò, non c’era. Infatti, Tommaso viene chiamato Didimo, che vuol dire gemello. Per certi versi, gemello di Gesù, perché, quando Gesù va Gerusalemme per risuscitare Lazzaro e gli dicono “ma lì ti vogliono uccidere”, lui risponde “andiamo anche noi a morire al suo fianco”, quindi è un uomo coraggioso, disposto a morire al suo fianco. Ma Tommaso è gemello anche di Giuda, perché anche Giuda quel giorno non c’era, ma Giuda non c’era perché non aveva creduto nella possibilità del perdono, e infatti si era ucciso, mentre Tommaso non c’era perché non aveva creduto che un uomo morto così potesse risorgere, perché pensava che la morte fosse la fine di tutto. E, infine, è gemello anche nostro, perché anche noi, quella sera, come ho detto, non c’eravamo, ma otto giorni dopo si. E, come i discepoli, ci troviamo per celebrare l’eucaristia, tutti insieme. La prima volta Tommaso non ha incontrato il risorto perché non era con gli altri. Chi non è insieme ai fratelli, non può incontrare il Figlio e neanche il Padre, perché Dio, che è amore e relazione, lo si incontra stando con i fratelli, condividendo gli stessi limiti e le stesse paure. Penso a quelli che dicono: io non vengo a Messa perché c’è troppa gente, io preferisco stare col Signore per conto mio. Poi succede che Gesù dice “Pace a voi”, che non è un augurio, ma un’affermazione: Gesù offre il suo Spirito di vita e perdono. A chi? A un manipolo di gente improbabile che lo ha abbandonato, tradito, rinnegato, scommettendo ancora su di loro, per mostrare che l’amore è più forte del peccato, che Dio ci ama non perché ce lo meritiamo, non perché siamo bravi, ma per farci diventare come lui, per farci rinascere dalle nostre ceneri. Ecco perché ogni eucaristia inizia con il rito penitenziale. Ma, a nostra volta, dobbiamo fare lo stesso, infatti dice: adesso tocca a voi, dovete essere voi a perdonare, ad amare, a dare vita agli altri, altrimenti l’amore che avete ricevuto non serve a niente. Ecco perché l’eucaristia termina col mandato (la parola Messa significa “essere mandati”), col comando: andiamo in pace! Cioè, adesso vivete quello che qui avete celebrato! La celebrazione della Messa è finita, adesso comincia la Messa della vita quotidiana. Infine, in tutte e due le scene, entrambe le scene, i discepoli riconoscono Gesù non perché è passato attraverso i muri, ma quando vedono le sue ferite. È fondamentale questa cosa da capire. Tommaso non poteva credere solo per la parola dei suoi amici: doveva vedere quelle ferite e metterci dentro il dito, perché l’amore è qualcosa di concreto, non di astratto, non basta che qualcuno te lo racconti, devi viverlo sulla tua pelle, nella tua carne. A Messa veniamo per questo: per continuare a mettere il nostro dito nelle ferite di Gesù, per immergerci nel suo amore, e poter dire anche noi, come Tommaso: mio Signore e mio Dio! E queste ferite sono sempre aperte: nell’eucaristia il Signore invita anche noi a diventare gemelli di Tommaso, a mettere il dito nelle sue piaghe per farci diventare come lui, per farci risorgere, cioè per trasformare la nostra vita, infondendoci pace, capacità di amare, di servire, di perdonare, di credere che l’amore è più forte della morte, quindi per essere portatori di speranza in un mondo senza speranza. Per non essere più increduli, ma credenti. Chi crederà in questo amore anche senza aver visto direttamente Gesù, sarà beato, perché “credere” vuol dire fidarsi della Parola di Gesù e metterla in pratica, e chi fa questo sentirà dentro di lui la pace e la gioia che vengono da Dio, capace anche di accettare di essere perseguitato, come capitò in seguito agli apostoli. I brani del libro degli Atti che la liturgia ci propone in questo tempo pasquale raccontano proprio il modo col quale gli apostoli proseguono l’opera di Gesù. Il brano di oggi ci mostra che essi compiono il bene guarendo un uomo infermo e, proprio per questo, vengono accusati e messi in prigione. Gesù lo aveva detto: beati voi quando vi perseguiteranno nel mio nome. E a noi viene da dire: ma beati cosa? faccio il bene e mi uccidono, allora non vale la pena! Forse, anche per questo tanti cristiani, nella nostra società, preferiscono nascondersi: per non fare la figura dei fessi! E invece no: Gesù dice che siamo beati perché, facendo così, rispondendo al male col bene, ci stiamo trasformando, stiamo risorgendo, cioè stiamo diventando come Dio.